Tutto ciò che c'è c'è già. Allora nei miei pezzi che si fa?
Renderò possibile l'impossibile fino a rendere possibile la realtà.”
La
pittura di Giorgio Morandi è senza dubbio difficile, complicata. Difficile farsi coinvolgere da una estetica il cui piacere non è immediato. La sua pittura
appare addirittura fredda e indifferente allo spettatore poco
avvertito. Addirittura la figuratività della sua pittura appare tanto
più estranea al gusto imposto dall’industria culturale da apparire antica nella sua
classicità.
Quella di Giorgio Morandi è una pittura dell’inesprimibile; pone la domanda che è base
della grande arte di sempre: si
può dare forma a ciò che forma non ha? si può rappresentare l’irrapresentabile?
La sua è una assai umile
lezione.
Tutta la sua opera è un insegnamento
insuperabile; egli, nonostante il succedersi tempestoso delle tante
avanguardie e delle molteplici sperimentazioni, nonostante gli eventi
della Seconda guerra mondiale, riesce a mantenersi “fuori dal tempo” rispetto alle tendenze
dominanti del suo tempo. Egli resta devoto
alla pittura, evitando il percorso
più veloce dell’astrattismo e quello degli eccessi dei Futuristi. Egli ragiona su una pittura fatta di cose: dipinge bicchieri, tazze, bottiglie, brocche,
caffettiere e imbuti non come semplici oggetti nel mondo ma come presenza dell’assenza
assoluta. Egli cerca di estrarre la
forma dall’informe, liberare l’opera dalla sua semplice presenza, dando, probabilmente
“suono al silenzio”.
La sua pittura dialoga
con l’assoluto, con l’indescrivibile, con quello per cui non è possibile
stabilire alcuna relazione; i suoi dipinti ci
avvicinano al segreto nascosto delle cose. La pittura di Giorgio Morandi mostra
il visibile. “Esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la
cosa che maggiormente m’interessa,” egli dichiara fermamente.
Però, secondo la sua opinione, il dovere dell’arte non è di raffigurare
il visibile, la realtà delle cose, ma quello di rendere visibile ciò che si sottrae
alla vista, di dipingere l’invisibile.
Le cose, in Morandi, infatti, non coincidono con le cose in se; sono, invece, un’immagine
delle cose che allude ad altre cose.
Bruno Munari: “Morandi, faceva dei
quadri astratti usando delle bottiglie e dei vasi come pretesto formale.
Infatti il soggetto di un quadro di Morandi non sono le bottiglie ma la pittura
fermata in quegli spazi.”
Nella prima metà del
secolo scorso l’astrattismo, l’impulso verso lo spirituale, ha portato, a
partire da Kandinskij, l’abolizione dell’oggetto, il rifiuto dell’immagine per
poter andare oltre la raffigurazione. L’invisibile era, in altre parole,
contrapposto al visibile. Morandi, al contrario, prova a dipingere l’invisibile
solo nel visibile, in una specie di “anti-astrazione”. L’oggetto
non è distrutto dall’astrazione, poiché la contrasta, e
resta il centro della sua poetica.
Però Morandi non è indifferente all’arte a
lui contemporanea (cubo - futurismo, astrazione, arte concettuale e minimale,
Pop art o Arte povera) ne disinteressato ai drammi della storia (fascismi, conflitto
mondiale, olocausto).
La sua opera (la sua vita) sembra appartenere a un tempo fuori dal
tempo.
La sua vita è stata definita una “successione di eventi senza notizie”. Una uniforme ripetitività e una monotona
piattezza danno il ritmo alle sue giornate, fatte di ore d’insegnamento, lunghe passeggiate contemplative, chiacchierate e scambi di lettere con pochi amici e, più di tutto, del tempo dedicato religiosamente alla pittura. L’essere fuori dal tempo o un tempo fermo, sospeso sono il suo marchio; nelle sue tele si legge una certa tendenza alla contemplazione, alla ricerca solitutaria.
Afferma Morandi: “Ciò che noi vediamo, credo sia creazione dell’artista, se
capace di far cadere quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e
le cose”.
Egli, in poche parole, afferma che se vogliamo conoscere
qualcosa bisogna distinguere le cose del mondo dalle loro “immagini convenzionali”. Della nebbia è calata sulle cose e solo lo sguardo
dell'artista, riesce a diradarla, a far cadere questi il velo. "Ciò che noi vediamo (dentro)” – e all'opposto di una “immagine convenzionale”. Tra le due non c’è continuità, ma un taglio.
Il problema dell'arte
è quello di riuscire a passare dalle “immagini convenzionali”
all’“immagine delle cose” senza lasciarsi affascinare dalle prime, senza farsi
assorbire dal loro mondo apparente.
L'artista non si limita a
riprodurre le cose che abbiamo già visto, ma le fa esistere in un modo
nuovo. Non ci restituisce una copia di ciò che esiste, ma ci offre
un visione mai visto delle cose.
Di fronte alle bottiglie
o ai bicchieri di Morandi "non siamo di fronte a oggetti che abbiamo già visto,
che conosciamo già, ma a immagini che elevano quegli stessi oggetti alla
dignità di vere e proprie icone".
Cosa significa? Le
bottiglie, le caffettiere, i vasi, i fiori e tutti gli altri protagonisti del mondo
morandiano aprono nella loro stessa esistenza a una trascendenza enigmatica. Non si tratta di replicare quello che già
esiste, ma di fare una nuova esperienza del mondo, di realizzare un’altra
apertura del mondo proprio all’interno del mondo.
E’ QUESTO IL MISTERO DELLA SUA ARTE.
E’ QUESTO IL MISTERO DELLA SUA ARTE.