giovedì 6 settembre 2018

Non vi è nulla di più astratto del reale!

Tutto ciò che c'è c'è già. Allora nei miei pezzi che si fa?
Renderò possibile l'impossibile fino a rendere possibile la realtà.”
 


La pittura di Giorgio Morandi è senza dubbio difficile, complicata.  Difficile farsi coinvolgere da una estetica il cui piacere non è immediato. La sua pittura  appare addirittura fredda e indifferente allo  spettatore poco avvertito. Addirittura la figuratività della sua pittura appare tanto più estranea al gusto imposto dall’industria culturale da apparire antica nella sua classicità.
Quella di Giorgio Morandi è una pittura dell’inesprimibile; pone la domanda che è base della grande arte di sempre: si può dare forma a ciò che forma non ha? si può rappresentare l’irrapresentabile?

La sua è una assai umile lezione.

 Tutta la sua opera è un insegnamento insuperabile; egli, nonostante il succedersi tempestoso delle tante avanguardie e delle molteplici sperimentazioni, nonostante gli eventi della Seconda guerra mondiale, riesce a mantenersi “fuori dal tempo” rispetto alle tendenze dominanti del suo tempo. Egli resta devoto alla pittura, evitando il  percorso più veloce dell’astrattismo e quello degli eccessi dei Futuristi. Egli ragiona su una pittura fatta di cose: dipinge bicchieri, tazze, bottiglie, brocche, caffettiere e imbuti non come semplici oggetti nel mondo ma come presenza dell’assenza assoluta. Egli cerca di estrarre la forma dall’informe, liberare l’opera dalla sua semplice presenza, dando, probabilmente “suono al silenzio”.


La sua pittura dialoga con l’assoluto, con l’indescrivibile, con quello per cui non è possibile stabilire alcuna relazione; i suoi dipinti ci avvicinano al segreto nascosto delle cose. La pittura di Giorgio Morandi mostra il visibile. “Esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la cosa che maggiormente m’interessa,” egli dichiara fermamente. 
Però, secondo la sua opinione, il dovere dell’arte non è di raffigurare il visibile, la realtà delle cose, ma quello di rendere visibile ciò che si sottrae alla vista, di dipingere l’invisibile.
Le cose, in Morandi, infatti, non coincidono con le cose in se; sono, invece, un’immagine delle cose che allude ad altre cose.
Bruno Munari:  “Morandi, faceva dei quadri astratti usando delle bottiglie e dei vasi come pretesto formale. Infatti il soggetto di un quadro di Morandi non sono le bottiglie ma la pittura fermata in quegli spazi.”

Nella prima metà del secolo scorso l’astrattismo, l’impulso verso lo spirituale, ha portato, a partire da Kandinskij, l’abolizione dell’oggetto, il rifiuto dell’immagine per poter andare oltre la raffigurazione. L’invisibile era, in altre parole, contrapposto al visibile. Morandi, al contrario, prova a dipingere l’invisibile solo nel visibile, in una specie di “anti-astrazione”. L’oggetto non è distrutto dall’astrazione, poiché la contrasta, e resta il centro della sua poetica.
Però Morandi non è indifferente all’arte a lui contemporanea (cubo - futurismo, astrazione, arte concettuale e minimale, Pop art o Arte povera) ne disinteressato ai drammi della storia (fascismi, conflitto mondiale, olocausto).
La sua opera (la sua vita) sembra appartenere a un tempo fuori dal tempo.
La sua vita è stata definita una “successione di eventi senza notizie”. Una uniforme ripetitività e una monotona piattezza danno il ritmo alle sue giornate, fatte di ore d’insegnamento, lunghe passeggiate contemplative, chiacchierate e scambi di lettere con pochi amici e, più di tutto, del tempo dedicato religiosamente alla pittura. L’essere fuori dal tempo o un tempo fermo, sospeso sono il suo marchio; nelle sue tele si legge una certa tendenza alla contemplazione, alla ricerca solitutaria.
Afferma Morandi: Ciò che noi vediamo, credo sia creazione dell’artista, se capace di far cadere quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose”.

Egli, in poche parole, afferma che se vogliamo conoscere qualcosa bisogna distinguere le cose del mondo dalle loro “immagini convenzionali”. Della nebbia è calata sulle cose e solo lo sguardo dell'artista, riesce a diradarla, a far cadere questi il velo. "Ciò che noi vediamo (dentro)” – e all'opposto di una “immagine convenzionale”. Tra le due non c’è continuità, ma un  taglio.
Il problema dell'arte è quello di riuscire a passare dalle “immagini convenzionali” all’“immagine delle cose” senza lasciarsi affascinare dalle prime, senza farsi assorbire dal loro mondo apparente.
L'artista non si limita a riprodurre le cose che abbiamo già visto, ma le fa esistere in un modo nuovo. Non ci restituisce una copia di ciò che esiste, ma ci offre un visione mai visto delle cose.
Di fronte alle bottiglie o ai bicchieri di Morandi "non siamo di fronte a oggetti che abbiamo già visto, che conosciamo già, ma a immagini che elevano quegli stessi oggetti alla dignità di vere e proprie icone".
Cosa significa? Le bottiglie, le caffettiere, i vasi, i fiori e tutti gli altri protagonisti del mondo morandiano aprono nella loro stessa esistenza a una trascendenza enigmatica.  Non si tratta di replicare quello che già esiste, ma di fare una nuova esperienza del mondo, di realizzare un’altra apertura del mondo proprio all’interno del mondo. 
E’ QUESTO IL MISTERO DELLA SUA ARTE.

E come affermava Paul Klee, l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.

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