giovedì 12 ottobre 2017

Le scarpe di Van Gogh


Nel film Bianca di Nanni Moretti, mentre la cinepresa inquadra dall'interno di un seminterrato una finestra alta, scorrono immagini di gambe in movimento, che vanno in diverse direzioni . Su quelle immagini il protagonista afferma:Che bello sarebbe un film fatto di sole scarpe; ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo”.
E dunque, che bello …… un dipinto fatto di sole scarpe.


Partiamo allora dalle scarpe e dalla loro importanza nella poetica di Van Gogh. La loro fortuna è legata al saggio di Martin Heidegger dal titolo “L’origine dell’opera d’arte”, nel  quale il filosofo tedesco dedica ad esse una critica intensa e appassionata.
Va sottolineato che quello delle scarpe è un tema fisso nella produzione di Vincent Van Gogh. Ad esse egli dedica differenti opere e in tutte queste le scarpe appaiono senza ornamenti, consunte, usurate, in una parola, abbandonate. Le scarpe a cui Van Gogh dedica le sue pitture non sono da vetrina, non sono oggetti smaglianti; sono, invece, come si è soliti dire, scarpe consumate, scarpe vissute che sono state usate quotidianamente, pertanto, senza giro di parole «vecchie». Sto pensando, e valga come esempio, a “Un paio di scarpe”, dipinto del 1886, oggi al Museum of Art di Baltimora.
Da quando Flaubert ha affermato “Madame Bovary sono io” risulta difficile non pensare ad ogni singola opera come una specie di immagine di se stessi, una sorta di autoritratto.
Ma cosa racconta meglio l'intimità di un autore? Una autobiografia (quasi sempre uno scritto che non rivela alcuna informazione personale), nella quale, non so quanto inconsciamente, si finisce per mostrare una determinata faccia degli infiniti piani che compongono l'universo umano; o piuttosto la pagina marginale, dove si parla di altro da se, ma da cui si può estrarre la reale poetica e visione dell'universo?
Nel caso di Van Gogh, sono gli autoritratti i dipinti che meglio lo rappresentano.
Ma quali? Quello in cui egli si osserva e ritrae di fronte ad una tela coi pennelli e tavolozza, a verificare ed affermare la sua identità di pittore? Oppure l'autoritratto noto come “Vincent sul fondo di fiamme”, dove il pittore sembra fondersi nella natura e nella forza che essa sprigiona, in cui si nota lo sforzo fatto per placare l'energia delle fiamme che esso stesso sprigiona? E perché non scegliere “Autoritratto con tavolozza” dipinto nell'Agosto del 1889, dove tutta la sua inquietudine e la sua forza del pensiero emergono con forza dalla  oscurità del blu. In tutti questi ritratti rimane indimenticabile lo sguardo ed il taglio degli occhi, a cui ben si adatta il verso di Baudelaire, che apre Le fleur du mal “Tu lettore ipocrita che sei mio fratello e mio simile”.
Però in questi dipinti c'è una forte volontà di mostrare se stessi, di dire io sono questo, sono cosi. Di mostrare una immagine precisa.
L’autoritratto è da sempre considerato una volontà dell’artista di lasciare traccia, testimonianza di sé non solo attraverso le sue creazioni ma soprattutto attraverso la sua rappresentazione fisica.
L’autoritratto, quindi, non rappresenta solo le fattezze dell’autore ma soprattutto il suo essere persona, il suo carattere, le sue emozioni, i suoi sogni, i suoi pensieri più reconditi, finanche la sua visione del mondo circostante, espressa dal suo stesso stile, a volte preciso e misurato, altre veloce e schizzato
Secondo il critico Maurizio Fagiolo dell’Arco l’autoritratto è “il sublime ricordo dell’antico mito di Narciso, è la proiezione del passato nella storia. È racconto e menzogna. Può essere finzione assoluta o verità inconscia”, è cultura del narcisismo.

Nelle scarpe dipinte, invece, c'è il ritratto inconscio di se, c'è la sintesi della sua poetica, il sunto del suo carteggio con il fratello Theo, c'è il racconto accorato, immediato e sublime della sua vita, c'è la sua storia, la critica feroce al mondo, ma anche l'elevazione che interessa la stessa arte di Van Gogh: ossia come è possibile elevare un paio di vecchie scarpe alla dignità di un’icona. 
Quello de “Un paio di scarpe” è molto probabilmente uno dei suoi autoritratti più riusciti: Van Gogh è le scarpe che dipinge.
Allora le scarpe di Van Gogh evocano un intero Mondo: «la fatica del cammino percorso lavorando, la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo», la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala, il tacito dono di messi mature, il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il timore dell’annuncio della nascita», l’angoscia della prossimità della morte» (J. Lacan).  Le scarpe di  Van Gogh sono il racconto di una vita vissuta tra caffè, case di tolleranza, campi di grano e la coscienza fiera del proprio valore di artista/uomo.

Gli occhi possono mentire, un sguardo sviare, ma le scarpe dicono sempre la verità!!!

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