sabato 16 giugno 2018

Elogio della follia – Lettera al signor Van Gogh


Scappiamo Alice, qui sono tutti normali.
(Il Bianconiglio)

“Uno può avere un focolare ardente nell'anima e tuttavia nessuno viene mai a sedervisi accanto. I passanti vedono solo un filo di fumo che si alza dal camino e continuano per la loro strada.” (V. Van Gogh)

Lei era solo un matto, caro signor Van Gogh.
Questa è la scena. Il mondo intero che guardava dall’altra parte e lei che ci camminava in mezzo. A un certo punto signor Van Gogh, lei si è messo a urlare, ma nessuno lo ha sentito. Nessuno le è andato incontro, nessuno ha capito che stava andando alla deriva. Intanto lei scalciava, si agitava, qualcosa voleva uscire, voleva prendere il suo posto nel mondo. Ha cominciato a spingere, con sempre più forza; lei ha pensato che era l’ultima cosa che faceva sulla terra. Delle cose sono venute al mondo, perché anche i matti mettono al mondo le loro creature! Pochi capivano in realtà cosa fosse quello che faceva; però c’era qualcosa in quelle opere che le rendeva straordinarie. Niente di speciale in realtà, solo l’ennesimo sorprendente miracolo.

Adesso è tutto diverso. Lei ha detto “Se oggi non valgo nulla, non varrò nulla nemmeno domani; ma se domani scoprono in me dei valori, vuole dire che li possiedo anche oggi. Poiché il grano è grano, anche se la gente dapprima lo prende per erba
E’ andata davvero cosi, signor Van Gogh? E’ andata davvero cosi, signor Van Gogh. Cosi mi hanno raccontato. 

E’ cosi che è cominciato tutto, in mezzo al vento e al grano.
Una cosa voglio proprio dirla, signor Van Gogh: i suoi colori mi piacciono, sono poetici! Mi tornano spesso in mente l’arancio del cielo al tramonto, il bianco giallo della schiuma del mare, il rosso dei tulipani, i colori mischiati che diventano campi variopinti.
Da bambino, caro signor Van Gogh, mi facevo domande strane: come può da un tronco marrone venir fuori il rosso delle ciliegie o il giallo delle mele, come può un arbusto verde dar vita a delle bacche blu?
A che servono cosi tanti colori? Oggi grazie a lei io so che “le leggi dei colori sono inesprimibilmente belle, proprio perché non sono dovute al caso”.


Signor Van Gogh, i suoi dipinti sono carichi di nostalgia (Riposo dal lavoro), di un tempo in cui l’uomo, stanco dopo una giornata dura di lavoro, appoggiava la schiena contro il fieno. Che pace. Alzarsi, fare qualcosa? Nemmeno per idea. Che pace! ..... e attendeva la sera, che il cielo da blu diventasse rosso, e che la sera cedesse il posto ad una magnifica notte infuocata. Van Gogh: “Io penso spesso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”.
Chiudo gli occhi. Quante cose vedo, quando chiudo gli occhi. Sono cose che nessuno vede più, che nessuno sa che esistono. L’odore del mondo diventa realtà tangibile. E l'energia del cosmo è palpabile...........


I suoi lavori, sono opere che lasciano proprio senza fiato, che quando li hai finiti di guardare e tutto quel che segue, vorresti che chi le ha pensate fosse un tuo amico per la pelle e poterlo interpellare tutte le volte che ti gira.

Caro signor Van Gogh, lei ha intrapreso un viaggio pericoloso. “I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli, una ragione sufficiente per restare a riva. Lei non ha vissuto per se, ma per le generazioni che verranno.
Ho capito (non senza sforzi) che lei detestava i sentimenti moderati che si incontrano nella vita e in quanto folle ha sempre resistito agli amori facili. Lei ha talmente teso la sua mente, che alla fine è schizzata, si è contorta, si è espansa; la sua mente risucchiata dall'infinito ha ruggito di dolore e di piacere.  Calore che si è irradiato in onde rotonde, gelo verticale, cunei sparati giù a frantumare ….....
Prima di partire per sempre, lei ha scritto che La tristezza durerà per sempre”. Non ho mai capito se parlava della sua o di quella dell’intera umanità.

Van Gogh: “Dato che qui l’inverno continua, datemi retta e lasciatemi tranquillamente continuare il mio lavoro, e se sarà quello di un pazzo tanto peggio”. Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre!

“Se un uomo diventa pazzo per qualche motivo, grazie tante!
Il bello sta a impazzire senza motivo”.

mercoledì 13 giugno 2018

Da qui in avanti, un passo indietro!


Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? - chiede Kublai Kan.  Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, - risponde Marco, - ma dalla linea dell'arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? 

È solo dell'arco che m'importa. Polo risponde: Senza pietre non c'è arco.

Non ci sono punti superflui nell’universo. Ognuno è qui perché ha uno spazio da riempire, e ogni punto deve inserire sé stesso nel grande puzzle.
Quella di Seurat è una pittura stranamente silenziosa. Lascia che gli altri parlano, sta ad ascoltare. E forse è proprio in questa sorta di sospensione silente che si può osare l’analogia impressionante con Piero della Francesca e  Paolo Uccello. Nella sua opera c’è la stessa luce chiara e diffusa, identica strutturazione dello spazio e una uguale composizione.

Attraverso una metodica e paziente distribuzione dei punti di colore sulla tela egli fa si che tutti gli effetti di chiaroscuro siano assorbiti nel colore e tutte le ombre (azzurre, verdi o rosa), fatte da tocchi infinitesimi, acquistano sfumature delicate.
Esaminando i dipinti di Georges Seurat, si ha l’impressione che egli fosse un artista calcolatore, senza vita, riservato e taciturno. Le sue tele non rivelano partecipazione, non rivelano passione: la sua è la pittura più meditata e controllata che esista.


I pittori moderni si sono battuti, negli anni, per una certa libertà di invenzione e di esecuzione. Seurat si muove in senso ostinato e contrario; egli rinuncia a ogni opportunità, rinuncia a ogni possibile forma di spontaneità. E lo fa con risoluta intenzione. Seurat: “La gente trova la poesia in ciò che faccio. No, applico semplicemente il mio metodo, nient’altro!” 
 
È ricordato come chi sperimenta una nuova teoria e riforma l’Impressionismo, facendolo diventare scientifico. Si dedica alla ricerca di un principio esatto della pittura, basato sulla meditazione (non sull’ispirazione) e sulla ricerca delle leggi sottese all’invenzione. Il suo intento non è quello di riformare il movimento dell’Impressionismo, ma di dominare l’intuizione con la consapevolezza.
Come gli impressionisti della prima ora, egli abbandona i temi storici e la sua pittura diviene attuale, assolutamente moderna: quindi i soggetti sono quelli del mondo che lo circonda, scene di vita quotidiana, paesaggi, folle domenicali.  Quello che per gli impressionisti ha il fascino del fortuito e dell’immediato, in Seurat ha un carattere ben strutturato, raccolto e chiuso in se stesso.
I suoi dipinti suggeriscono emozioni tutt’altro che semplici, delle emozioni attenuate, mediate, ovattate. La distanza tra noi e il dipinto si sente ed è accentuata dalla sua consuetudine di dipingere e di colorare la cornice del quadro. Cosi facendo, il quadro tende a indietreggiare, si stabilisce una barriera ovattata di silenzio, fra la pittura e noi che la osserviamo.

Una ricerca di forme archetipiche domina le sue composizioni di forme quasi arcaiche e della riduzione del tutto a una visione scientifica. È proprio un modo di guardare al mondo: andare per sottrazione, eliminare il superfluo, cercare la sostanza.
Sono immagini che appaiono dettagliate solo se viste da lontano. Immagini divise in piccole parti che l’occhio riunisce in campi compatti.
Con una leggera forzatura questi dipinti sono come i mosaici, scene raffigurate con punti ripetuti al posto di tessere in pietra, terracotta o pasta vitrea. Anche un mosaico, se visto da lontano, può apparire simile a un’immagine dipinta, poichè le tessere di cui è composto appaiono fuse con quelle adiacenti. A fine '800 questo stesso principio sarà applicato da Georges Seurat, definito puntinista per la sua tecnica, che le tessere, però, le dipinge!
Lo stesso termine mosaico deriva dal greco musaikòn, "opera paziente degna delle Muse"; in latino veniva chiamato opus musivum, cioè "opera delle Muse". 


Due colori diversi accostati appaiono di un terzo colore se visti da lontano.
Seurat dipinge in modo strano, accostando punti sulla superficie che,  ad una certa distanza, dà un colore diverso, che si compone nella nostra testa. Il dipintoo è un campo di forze che formano l’immagine e non uno schermo dove si proietta l’immagine”. Il clima culturale di  G. Seurat è quello di una realtà sempre più tecnologica, che mette in secondo piano  il lavoro degli artisti, in una condizione di inferiorità: basti pensare all’invenzione della fotografia.  E' essenziale, e riduce alla sostanza. “Less is more” diceva Ludwig Mies van der Rohe. Vale anche per questi dipinti … dove i punti sono anche troppi. 

Ma, probabilmente, la definizione delle immagini tramite punti ha una chiave di lettura filosofica oltre che pittorica. Secondo qualcuno, noi non vediamo le cose nel modo in cui sono. Le vediamo nel modo in cui siamo. La realtà frammentata, fatta di migliaia di parti accostate anche in modo caotico in cui ci districhiamo senza trovare un capo, appare meno ingarbugliata se facciamo un passo indietro, cambiando il punto di vista e osservando le cose con impassibilità e controllo. Ciò è valido per un quadro, per una opera d'arte in generale e ancora di più nel nostro rapportarci col resto del mondo. 
Seurat anticipa i procedimenti delle immagini a colori del pannello elettronico: il suo puntinismo è infatti il progenitore dei pixel negli schermi televisivi.


Punto! Due punti!! Tanti punti ....... ma sì, fai vedere che abbondiamo!
PS:  la sua è senza tempo, è una pittura moderna, affascinante, ipnotica e non va cambiata di una virgola. Questo è il punto!

Non vi è nulla di più astratto del reale!

Tutto ciò che c'è c'è già. Allora nei miei pezzi che si fa? Renderò possibile l'impossibile fino a rendere possibile la realtà...