mercoledì 13 giugno 2018

Da qui in avanti, un passo indietro!


Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? - chiede Kublai Kan.  Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, - risponde Marco, - ma dalla linea dell'arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? 

È solo dell'arco che m'importa. Polo risponde: Senza pietre non c'è arco.

Non ci sono punti superflui nell’universo. Ognuno è qui perché ha uno spazio da riempire, e ogni punto deve inserire sé stesso nel grande puzzle.
Quella di Seurat è una pittura stranamente silenziosa. Lascia che gli altri parlano, sta ad ascoltare. E forse è proprio in questa sorta di sospensione silente che si può osare l’analogia impressionante con Piero della Francesca e  Paolo Uccello. Nella sua opera c’è la stessa luce chiara e diffusa, identica strutturazione dello spazio e una uguale composizione.

Attraverso una metodica e paziente distribuzione dei punti di colore sulla tela egli fa si che tutti gli effetti di chiaroscuro siano assorbiti nel colore e tutte le ombre (azzurre, verdi o rosa), fatte da tocchi infinitesimi, acquistano sfumature delicate.
Esaminando i dipinti di Georges Seurat, si ha l’impressione che egli fosse un artista calcolatore, senza vita, riservato e taciturno. Le sue tele non rivelano partecipazione, non rivelano passione: la sua è la pittura più meditata e controllata che esista.


I pittori moderni si sono battuti, negli anni, per una certa libertà di invenzione e di esecuzione. Seurat si muove in senso ostinato e contrario; egli rinuncia a ogni opportunità, rinuncia a ogni possibile forma di spontaneità. E lo fa con risoluta intenzione. Seurat: “La gente trova la poesia in ciò che faccio. No, applico semplicemente il mio metodo, nient’altro!” 
 
È ricordato come chi sperimenta una nuova teoria e riforma l’Impressionismo, facendolo diventare scientifico. Si dedica alla ricerca di un principio esatto della pittura, basato sulla meditazione (non sull’ispirazione) e sulla ricerca delle leggi sottese all’invenzione. Il suo intento non è quello di riformare il movimento dell’Impressionismo, ma di dominare l’intuizione con la consapevolezza.
Come gli impressionisti della prima ora, egli abbandona i temi storici e la sua pittura diviene attuale, assolutamente moderna: quindi i soggetti sono quelli del mondo che lo circonda, scene di vita quotidiana, paesaggi, folle domenicali.  Quello che per gli impressionisti ha il fascino del fortuito e dell’immediato, in Seurat ha un carattere ben strutturato, raccolto e chiuso in se stesso.
I suoi dipinti suggeriscono emozioni tutt’altro che semplici, delle emozioni attenuate, mediate, ovattate. La distanza tra noi e il dipinto si sente ed è accentuata dalla sua consuetudine di dipingere e di colorare la cornice del quadro. Cosi facendo, il quadro tende a indietreggiare, si stabilisce una barriera ovattata di silenzio, fra la pittura e noi che la osserviamo.

Una ricerca di forme archetipiche domina le sue composizioni di forme quasi arcaiche e della riduzione del tutto a una visione scientifica. È proprio un modo di guardare al mondo: andare per sottrazione, eliminare il superfluo, cercare la sostanza.
Sono immagini che appaiono dettagliate solo se viste da lontano. Immagini divise in piccole parti che l’occhio riunisce in campi compatti.
Con una leggera forzatura questi dipinti sono come i mosaici, scene raffigurate con punti ripetuti al posto di tessere in pietra, terracotta o pasta vitrea. Anche un mosaico, se visto da lontano, può apparire simile a un’immagine dipinta, poichè le tessere di cui è composto appaiono fuse con quelle adiacenti. A fine '800 questo stesso principio sarà applicato da Georges Seurat, definito puntinista per la sua tecnica, che le tessere, però, le dipinge!
Lo stesso termine mosaico deriva dal greco musaikòn, "opera paziente degna delle Muse"; in latino veniva chiamato opus musivum, cioè "opera delle Muse". 


Due colori diversi accostati appaiono di un terzo colore se visti da lontano.
Seurat dipinge in modo strano, accostando punti sulla superficie che,  ad una certa distanza, dà un colore diverso, che si compone nella nostra testa. Il dipintoo è un campo di forze che formano l’immagine e non uno schermo dove si proietta l’immagine”. Il clima culturale di  G. Seurat è quello di una realtà sempre più tecnologica, che mette in secondo piano  il lavoro degli artisti, in una condizione di inferiorità: basti pensare all’invenzione della fotografia.  E' essenziale, e riduce alla sostanza. “Less is more” diceva Ludwig Mies van der Rohe. Vale anche per questi dipinti … dove i punti sono anche troppi. 

Ma, probabilmente, la definizione delle immagini tramite punti ha una chiave di lettura filosofica oltre che pittorica. Secondo qualcuno, noi non vediamo le cose nel modo in cui sono. Le vediamo nel modo in cui siamo. La realtà frammentata, fatta di migliaia di parti accostate anche in modo caotico in cui ci districhiamo senza trovare un capo, appare meno ingarbugliata se facciamo un passo indietro, cambiando il punto di vista e osservando le cose con impassibilità e controllo. Ciò è valido per un quadro, per una opera d'arte in generale e ancora di più nel nostro rapportarci col resto del mondo. 
Seurat anticipa i procedimenti delle immagini a colori del pannello elettronico: il suo puntinismo è infatti il progenitore dei pixel negli schermi televisivi.


Punto! Due punti!! Tanti punti ....... ma sì, fai vedere che abbondiamo!
PS:  la sua è senza tempo, è una pittura moderna, affascinante, ipnotica e non va cambiata di una virgola. Questo è il punto!

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