domenica 7 gennaio 2018

Infinità infinita - Pt. II

 L’arte è l’incontro inatteso di forme e colori che prima si ignoravano.

E' possibile che un artista passi la vita ad immaginarsi l'impossibile? Le opere di Rothko rimandano agli infiniti mondi delle finestre cieche della biblioteca di Michelangelo. 
Nella sua ricerca continua e senza sosta, col passare del tempo l'artista cambia verso ai suoi quadri, che da verticali  ora, si espandono in orizzontale. Quelli che prima erano indefinite barre di luce-ombra, diventano qualcosa di simile a delle colonne di sostegno e il carico che sopportano è la storia dell'umanità.
Osservando i suoi grandi quadri, alcune delle opere più belle e toccanti mai create da artista moderno,  si è proiettati in una sorta di età dell’oro dove l’uomo non aveva niente da perdere e aveva un'intuizione da seguire. Oggi non è più lo stesso, immersi in un'epoca di tonnellate di parole e di attività senza significato e sostanza. Egli era disperatamente alla ricerca di un po' di silenzio e un posto dove poter mettere radici e crescere. Gli ultimi anni della sua vita li trascorse alla ricerca di un luogo dove realizzare la sua “visione”. Assapora il successo e le sue opere vendono come non mai, ma con la popolarità, la sua vita diviene insapore, i bicchierini che lo accompagnano dalle 10 del mattino, degenerano presto in un grave alcolismo e le troppe sigarette, il vizio di tutta una vita, causano problemi al cuore e ai polmoni. 
La sua vita e il suo matrimonio sono in crisi; è oppresso dalla melanconia e i suoi lavori diventano sempre più cupi e sempre più intensi, tutti giocati su toni scuri. Mentre all’inizio degli anni Cinquanta le sue tele erano pervase da tonalità cangianti, espressione di emozioni forti e piene di vita, nell’ultima fase della sua carriera i suoi quadri si fanno molto cupi, denotando una condizione esistenziale disturbata ed un periodo particolarmente difficile per l’artista. Ancora una volta e fino alla fine, Rothko si affida unicamente al colore, anche se non più al giallo, all’arancio o al rosso; ora prevalgono i neri e i grigi, e l’assenza di speranza.
Appartiene infatti all’ultimo periodo della vita di Rothko una serie di “Untitled” (i “Black on Grey”), dove le pennellate, alternativamente nere e grigie, diventano la metafora del vuoto, della solitudine, dell’inquietudine, del dolore dell’artista, del suo stato d’animo al culmine della disperazione, che lo porterà poi al suicidio. 
 Le caratteristiche della sua pittura sono cambiate, così come è cambiata la sua visione del mondo: a prevalere sono, alla fine, i temi della sofferenza e della disperazione che vengono portati alle estreme conseguenze. Nell'ultimo periodo egli è sulla difensiva, arrabbiato, e si ritrova  a dipingere delle tele scurissime come la notte più tenebrosa. Niente di più drammatico che concentrarsi sulla dissolvenza del colore; ogni volta una tela più scura, ogni volta una campitura più cupa e funerea, fino ad arrivare alle ultime tele quasi completamente nere. Ha voglia di sparire, e alla fine ci riesce, scompare, contando solo su se stesso.

La cappella di Houston, tempio della sua arte, seppellisce ogni speranza e non convince chi ha tentato di persuaderci che questo posto non è oscuro e funereo come sembrerebbe.
Vi è una precisa riduzione di quella luce che ha sempre bruciato intensamente nelle sue opere più importanti. (sinceramente sedendosi qui ci si sente luminosi e belli?). Quelle barre di colore illuminate dalla luce, che avevano dato alle sue opere tanto del suo movimento, sono scomparse e al loro posto una notte inchiostrata. E’ quasi come se dipingesse per vedere quanto scuro può essere il buio. La cappella di Houston è una sepoltura per viventi, il futuro e le speranze sono imprigionate. Nell'oscurità di un quadro dopo l'altro Rothko sembra scomparire nello spazio profondo. Ammirare i suoi quadri equivale ad incanalarsi in un vicolo cieco. Queste tele si aprono su quello spazio ignoto di cui Rothko parlava spesso, un luogo dove solo l'arte può condurci lontano dal brusio di fondo del tempo.
Allora le colonne appena abbozzate e suggerite, i colori sbavati, servono a trasformare la superficie del quadro in uno spazio che potrebbe essere quello da cui veniamo o quello in cui finiremo. Questi dipinti non sono fatti per lasciarci fuori ma per abbracciarci. Esiste qualcosa di più potente di questa sala nel cuore della vita moderna ma lontana anni luce dai rumore e dalle luci dell'arte contemporanea, dalla ricerca esasperata dell'istante. Rothko, modernissimo, non parla mai del momento attuale. La sua pittura parla di eternità. 

La cappella è un posto dove si va per sedersi, stare a voce bassa, godere appieno della solitudine (Ma sedendo e mirando, interminati spazi e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, io quello infinito silenzio a questa voce co comparando: e mi sovvien l'eterno..) per sentire i millenni scorrere via ed essere trasportati verso le grandi aperture che si aprono sulla soglia dell'immortalità, dove sentire l'intensità del nostro venire e andare, del nostro entrare e uscire, della nostra nascita e della nostra morte. Utero, tomba, e tutto quello che c'è in mezzo. Potrà mai esserci arte più completa, più potente. Credo di no!

Ha una solitudine lo spazio, solitudine il mare e solitudine la morte ….. eppure tutte queste sono folla in confronto al punto più profondo in cui ci conduce la sua arte, punto che è anima al cospetto di se stessa: infinità infinita. Infinita immensità.....

.....così tra questa immensità s'annega il pensier mio

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Non vi è nulla di più astratto del reale!

Tutto ciò che c'è c'è già. Allora nei miei pezzi che si fa? Renderò possibile l'impossibile fino a rendere possibile la realtà...