Ha una mente fertile e sappiamo cosa rende fertili le cose!
Solo alcuni possiedono delle idee; la
maggior parte dell’umanità ne è posseduta. Alcune idee strambe, di cui molti
ridono, potrebbero diventare verità acclamate.
Nel
1961 il giovane Piero Manzoni espone per la prima
volta le scatolette di Merda d’artista. Portano la sua firma e
l’etichetta sul contenitore in latta dichiara in più lingue “contenuto netto
gr.30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961“,
come un qualsiasi comune oggetto alimentare. Le scatolette sono numerate da 1 a
90 e Manzoni le mette in vendita chiedendo l’equivalente di 30 grammi d’oro.
Insomma la
sua opera vale tanto oro quanto pesa. Merda d’artista è una parte del proprio corpo "proclamata" opera d’arte,
è una specie di "reliquia corporea dell'artista". D'altronde, il potere di operare miracoli non
sta nell'origine della reliquia, ma nella sua reputazione, comunque acquisita.
In modo ironico questa opera è espressione figurata e perfetta
del mondo dell’arte: fare della merda un’opera d'arte, produrla, esporla e venderla a peso d’oro.
L’artista è una specie di re Mida, è colui che con la sua firma riesce a tramutare
tutto, ma proprio tutto, in oro.
La merda d'artista trova la propria
approvazione nel fatto di essere firmata da chi ha saputo dare dignità
artistica a qualcosa di dozzinale, che è stato capace di trasformare la propria
idea in un emblema. Ecco perché, pur riproposto in 90 esemplari, essa diventa
sempre un'opera d'arte nuova, dunque vendibile, adatta ad un mercato disposto a
far ribollire i prezzi. Dal mito, ricompare la leggenda di Re Mida e tutto
viene trasformato in oro: al tocco si sostituisce però la firma e il risultato
è identico.
Quello che nell'immaginario comune è agli antipodi dell'arte (la
merda), Manzoni col suo pensiero e con una eccezionale riflessione
ironica/estetica lo ha trasformato in arte. Grazie ad una banale scatoletta
egli riesce ad amalgamare e a far convivere scatologia (tutto
ciò che ha a che fare con gli escrementi) e escatologia (riflessione sui significati e destini
ultimi dell'uomo e dell'universo).
Tuttavia, tralasciando gli aspetti provocatori
di Piero, ciò
che viene fuori prepotentemente è che non esiste più misura o limite nel quale
far confluire l'immaginazione: se il contenuto, qualunque esso sia (cosa
c’è davvero nelle scatole?), ed il contenitore, cosi come presentati e
combinati, entrano nell'Olimpo dell'arte, allora qualunque parola, o cosa può
diventarlo, e all'opposto è possibile che ciò che fino a ieri era considerato
arte perda il suo valore. Non vi sono più certezze, non esiste più la bellezza che salverà il mondo!
Osservi quella scatoletta in una teca o su di un piedistallo e tutte le tue certezze svaniscono, ti assalgono mille dubbi, tutto quanto rappresentava un pregio diventa difetto, ciò che era considerato inammissibile diviene sommo.
Improvvisamente, per la prima volta nella storia, la merda è nobilitata e si comincia ad apprezzarla in una dimensione artistica. Bandita ogni forma di tonta contemplazione, l'arte provoca il desiderio, in chi guarda, di conoscere i segreti e gli stratagemmi che hanno portato a quella rappresentazione, si vuole coglierne l'essenza. L'arte è sempre più “cosa mentale”. L'osservatore, cosi come l'artista, deve riuscire a comprendere il mutamento di stato dell'oggetto, il passaggio dal mondo delle cose all'universo artistico, e per far ciò deve cancellare ogni pregiudizio estetico, eliminare il concetto di piacere. I parametri del gusto, del bello sono superati dal concetto di autenticità di un autore e dalla sua capacità di imporsi in un mondo in continuo divenire. L'opera vale perché è firmata, resa autentica dall'artista, che ne rivendica la paternità intellettuale con la propria firma, il proprio marchio. Sono un artista e quello che faccio, quello che produco, quello che “esce da me” è arte. Col passare del tempo, e dalla debita distanza, le scatolette di merda si rivelano per quelle che sono, il cerchio si chiude, è perfetto e dalla provocazione si è ritornati all'arte, se ne apprezza la “bellezza”, che seppure lontana dai canoni classici, incarna alla perfezione lo spirito della nostra epoca e come le più grandi opere d'arte non da alcuna risposta ma invita a riflettere sul destino dell'umanità. Pur non riuscendo più a definire il bello, possiamo dire che, come la grande arte nello scorrere dei secoli, l'opera d'arte continua a meravigliare, lasciando chi osserva in uno stato di meraviglia, mischiando pensiero e scandalo, poesia e prosa, purezza e peccato, realtà e stupore.
Osservi quella scatoletta in una teca o su di un piedistallo e tutte le tue certezze svaniscono, ti assalgono mille dubbi, tutto quanto rappresentava un pregio diventa difetto, ciò che era considerato inammissibile diviene sommo.
Improvvisamente, per la prima volta nella storia, la merda è nobilitata e si comincia ad apprezzarla in una dimensione artistica. Bandita ogni forma di tonta contemplazione, l'arte provoca il desiderio, in chi guarda, di conoscere i segreti e gli stratagemmi che hanno portato a quella rappresentazione, si vuole coglierne l'essenza. L'arte è sempre più “cosa mentale”. L'osservatore, cosi come l'artista, deve riuscire a comprendere il mutamento di stato dell'oggetto, il passaggio dal mondo delle cose all'universo artistico, e per far ciò deve cancellare ogni pregiudizio estetico, eliminare il concetto di piacere. I parametri del gusto, del bello sono superati dal concetto di autenticità di un autore e dalla sua capacità di imporsi in un mondo in continuo divenire. L'opera vale perché è firmata, resa autentica dall'artista, che ne rivendica la paternità intellettuale con la propria firma, il proprio marchio. Sono un artista e quello che faccio, quello che produco, quello che “esce da me” è arte. Col passare del tempo, e dalla debita distanza, le scatolette di merda si rivelano per quelle che sono, il cerchio si chiude, è perfetto e dalla provocazione si è ritornati all'arte, se ne apprezza la “bellezza”, che seppure lontana dai canoni classici, incarna alla perfezione lo spirito della nostra epoca e come le più grandi opere d'arte non da alcuna risposta ma invita a riflettere sul destino dell'umanità. Pur non riuscendo più a definire il bello, possiamo dire che, come la grande arte nello scorrere dei secoli, l'opera d'arte continua a meravigliare, lasciando chi osserva in uno stato di meraviglia, mischiando pensiero e scandalo, poesia e prosa, purezza e peccato, realtà e stupore.
Ma allora cosa è cambiato? ASSOLUTAMENTE NIENTE.
Oltre la siepe, che il guardo esclude, c'è ancora l'infinito, e l'artista come
Ulisse, continua a cercare, a ricercare …... la CONOSCENZA!
Ti dimentichi che Manzoni lancia ancora una volta una denuncia contro il consumismo dell'arte proprio come ha fatto il suo padre artistico Marcel Duchamp.
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