Il 1917 è l’anno del delitto
perfetto: a New York, senza preavviso alcuno, viene innescato un ordigno
devastante, la cui portata creativa - distruttiva ha qualcosa di inatteso.
Passerà del tempo prima di
notare qualche mutamento. Ma da quella data, il mondo dell’arte non sarà più lo
stesso. Un’operazione geniale e ben orchestrata scompagina
dalle fondamenta lo status quo delle belle arti. È un virus micidiale, e come
tale una volta concretizzato, contamina tutto ciò con cui viene a contatto, cosi
da fare copie di se stesso, generalmente senza farsi rilevare dal destinatario
(da questo punto di vista il nome è in perfetta analogia con i virus in campo
biologico ed informatico). Tutte le sperimentazioni delle
avanguardie, le più ardite e temerarie, sono superate con un balzo mai avvenuto
prima. Lo shock ci sarà, ma a prevalere in un primo momento sarà la completa
indifferenza. Questa però, è un'altra storia
Partiamo dall’inizio, dal
percorso fulminante di un signore destinato a diventare il padre dell’arte
concettuale contemporanea.
In estrema sintesi il suo
percorso artistico parte dalla pittura impressionista, attraversa un breve periodo
Fauve, inclina verso un’attenzione sempre maggiore per il cubismo, fino a sperimentare
una pittura decisamente astratta.
Una ruota di bicicletta leggera, proietta la
sua ombra girevole sulla parete. La forcella, ribaltata, è avvitata su uno
sgabello da cucina in legno dipinto.
Di fronte a questo
oggetto è assorto il grande rivoluzionario concettuale del Novecento, Marcel Duchamp. È distratto, immerso nei suoi
pensieri, assorbito dal movimento rotatorio, come di fronte al fuoco di un camino.
Sta riflettendo sulla stramberia che quell’oggetto rappresenta. E’ un
paradosso, contraddice l’esperienza quotidiana fondendo un oggetto che manifesta
il movimento a uno che lo blocca, un prodotto dell’industria (in metallo) a uno
artigianale (di legno). Continua a far girare la ruota. Continua a giocare. Non
ha ancora capito l’autentica portata di quell’oggetto, simbolo della
contemporaneità.
È totalmente assorbito,
fino a quando, preso da una ispirazione improvvisa, cerca un testo nella
libreria accanto: Les Chants de
Maldoror, del Conte di Lautrèmont. Sfoglia velocemente fino al seguente passo
sottolineato « ...bello come
l'incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di
un ombrello!».
Ecco cosa lo ha
catturato, è esattamente questo che ha attirato la sua attenzione: è la nascita
di una nuova estetica, di un nuovo modo di sentire (estetica intesa come provare
qualcosa; anestesia, il suo opposto è la perdita reversibile delle sensazioni,
il non provare nulla). La ruota e lo
sgabello cosi assemblati hanno generato qualcosa di completamente incomprensibile
anche se ancora riconoscibile; l’insieme concepito è spiazzante, poiché confonde
e disorienta chi gli sta di fronte, è magnetico, casuale e del tutto nuovo.
Il pubblico, da sempre è educato a valutare
l'opera d'arte come il frutto di un’attitudine straordinaria, il prodotto di un
faticoso e arduo cammino da parte dell'artista ispirato, e in particolare dotato
di capacità tecniche inusuali. Quest’opera dice tutt’altro, libera l’arte dal figurativo come ci si
libera di un vecchio soprammobile: inizia l’arte concettuale. Come un esploratore,
resistitendo alla seduzione di muoversi sulle «autostrade del pensiero»
(funzionali e gratuite) ha aperto percorsi ignoti, dimostrando di poter
collegare luoghi apparentemente lontani secondo il senso comune, mettendo in
contatto il convenzionale e la perfezione.
Fa cadere tutte le
certezze; chi la osserva non trova niente a cui aggrapparsi, si trova ad un
tratto senza riferimenti all'arte tradizionale. Pur
essendo diventato un esempio notissimo, citato e riprodotto in qualsiasi
monografia sull’arte del Novecento, tuttavia continua a sconcertare i non
addetti ai lavori.
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