sabato 7 ottobre 2017

Elogio di un geniale lavativo!

Il 1917 non è un anno come un altro.
Il 1917 è l’anno del delitto perfetto: a New York, senza preavviso alcuno, viene innescato un ordigno devastante, la cui portata creativa - distruttiva ha qualcosa di inatteso.
Passerà del tempo prima di notare qualche mutamento. Ma da quella data, il mondo dell’arte non sarà più lo stesso. Un’operazione geniale e ben orchestrata scompagina dalle fondamenta lo status quo delle belle arti. È un virus micidiale, e come tale una volta concretizzato, contamina tutto ciò con cui viene a contatto, cosi da fare copie di se stesso, generalmente senza farsi rilevare dal destinatario (da questo punto di vista il nome è in perfetta analogia con i virus in campo biologico ed informatico). Tutte le sperimentazioni delle avanguardie, le più ardite e temerarie, sono superate con un balzo mai avvenuto prima. Lo shock ci sarà, ma a prevalere in un primo momento sarà la completa indifferenza. Questa però, è un'altra storia
 
Partiamo dall’inizio, dal percorso fulminante di un signore destinato a diventare il padre dell’arte concettuale contemporanea.
In estrema sintesi il suo percorso artistico parte dalla pittura impressionista, attraversa un breve periodo Fauve, inclina verso un’attenzione sempre maggiore per il cubismo, fino a sperimentare una pittura decisamente astratta. 

1913, quattro anni prima.
Una ruota di bicicletta leggera, proietta la sua ombra girevole sulla parete. La forcella, ribaltata, è avvitata su uno sgabello da cucina in legno dipinto.
Di fronte a questo oggetto è assorto il grande rivoluzionario concettuale del Novecento, Marcel Duchamp. È distratto, immerso nei suoi pensieri, assorbito dal movimento rotatorio, come di fronte al fuoco di un camino. Sta riflettendo sulla stramberia che quell’oggetto rappresenta. E’ un paradosso, contraddice l’esperienza quotidiana fondendo un oggetto che manifesta il movimento a uno che lo blocca, un prodotto dell’industria (in metallo) a uno artigianale (di legno). Continua a far girare la ruota. Continua a giocare. Non ha ancora capito l’autentica portata di quell’oggetto, simbolo della contemporaneità.
È totalmente assorbito, fino a quando, preso da una ispirazione improvvisa, cerca un testo nella libreria accanto: Les Chants de Maldoror, del Conte di Lautrèmont. Sfoglia velocemente fino al seguente passo sottolineato « ...bello come l'incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello!».
Ecco cosa lo ha catturato, è esattamente questo che ha attirato la sua attenzione: è la nascita di una nuova estetica, di un nuovo modo di sentire (estetica intesa come provare qualcosa; anestesia, il suo opposto è la perdita reversibile delle sensazioni, il non provare nulla).  La ruota e lo sgabello cosi assemblati hanno generato qualcosa di completamente incomprensibile anche se ancora riconoscibile; l’insieme concepito è spiazzante, poiché confonde e disorienta chi gli sta di fronte, è magnetico, casuale e del tutto nuovo.
 Il pubblico, da sempre è educato a valutare l'opera d'arte come il frutto di un’attitudine straordinaria, il prodotto di un faticoso e arduo cammino da parte dell'artista ispirato, e in particolare dotato di capacità tecniche inusuali. Quest’opera dice tutt’altro, libera l’arte dal figurativo come ci si libera di un vecchio soprammobile: inizia l’arte concettuale. Come un esploratore, resistitendo alla seduzione di muoversi sulle «autostrade del pensiero» (funzionali e gratuite) ha aperto percorsi ignoti, dimostrando di poter collegare luoghi apparentemente lontani secondo il senso comune, mettendo in contatto il convenzionale e la perfezione.

Fa cadere tutte le certezze; chi la osserva non trova niente a cui aggrapparsi, si trova ad un tratto senza riferimenti all'arte tradizionale. Pur essendo diventato un esempio notissimo, citato e riprodotto in qualsiasi monografia sull’arte del Novecento, tuttavia continua a sconcertare i non addetti ai lavori.

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