venerdì 27 ottobre 2017

Il silenzio dell'artista

Le parole si parlano, i silenzi si toccano

L'arte, e l'arte della parola nella fattispecie, non isola mai.
Essa parte da un isolamento, per forza di cose, poi però approda agli altri.
La voce di un artista è la voce di un “isolato” per definizione: ma quella voce poi rappresenta l'umanità intera. Eugenio Montale, in un discorso sulla comunicazione tenuto a Parigi ne '53, afferma che: “anche domani le voci più importanti saranno quelle degli artisti, che faranno sentire, attraverso la loro voce isolata, un'eco del fatale isolamento di ognuno di noi. Solo gli isolati comunicano; gli altri ripetono, fanno eco”.

Entrando in un museo d’arte contemporanea capita spesso di pensare, dire o sentire domande del tipo: ma questa è arte?  Anche per gli addetti ai lavori (critici, galleristi, storici dell'arte) è sempre più complesso riconoscere cosa sia arte e cosa non lo sia: il confine tra le due non è chiaro e distinto.
Negli ultimi decenni gli artisti hanno creato un nuovo e diverso  rapporto con l’osservatore rendendolo partecipe della riuscita dell’opera stessa. Alla categoria di bello viene così sostituita quella di interessante, concetto che aggiunge al precedente una componente intellettuale: un’opera non viene più percepita per la sua bellezza, ma per la sua capacità «di stimolare sia i sensi sia il pensiero».

L’opera d’arte non va più solo guardata, ma comincia a venir letta, come un testo. In questo modo l’osservatore di opere d’arte non è più un semplice spettatore, ma diventa fruitore, assume cioè un ruolo più attivo nella relazione con l’opera d’arte. A volte la sensazione che si prova non nasconde una certa irritazione e ci porta a dire “potevo farlo anch'io, saprei farla quella cosa lì”. Ma basta essere capaci di realizzare ciò che ha fatto un artista per essere artisti a nostra volta e a far si che l'artista diventi un buono a nulla? La sola tecnica o il mestiere contano più delle idee?

Nel 2003, Doris Salcedo, artista colombiana, ad Istambul riempi un vuoto tra due edifici utilizzando vecchie sedie (cosa a dir poco complicata, se teniamo conto della raccolta e della complessità di ammucchiarne cosi tante da colmare l'area lasciata da un fabbricato sparito). Oltre alla difficoltà organizzativa e tecnica, dietro quest'opera ci sono diversi significati, diverse idee. Innanzitutto le diverse sedie ammassate raccontano di tante vite, tutte quelle degli esseri umani che le hanno occupate; raccontano storie, dicono che un palazzo è un posto dove ci si siede per consumare un pasto, dove si può parlare, dove si può studiare, dove semplicemente avviene quella che chiamiamo vita. Inoltre le sedie ammassate rappresentano un ostacolo insormontabile o un ponte, e quindi un possibile dialogo tra culture diverse, tra oriente e occidente, islamismo e cristianesimo, ricchi e poveri.
Ma dove la combinazione di semplici oggetti raggiunge un lirismo fuori dal comune, grande forza espressiva ed impatto emozionale  è nell'opera Plegaria Muda,  installazione della memoria, della vita, del disagio e della dignità.
Doris Salcedo utilizza nel suo lavoro oggetti di uso quotidiano, in questo caso tavoli  imbevuti dell'esistenza  delle storie narrate.
Plegaria Muda è composta da coppie di tavoli di legno sovrapposti, dai quali nascono sottili fili d’erba. Essa suggerisce l'immagine di un luogo di sepoltura collettivo, di un camposanto di uomini vissuti ai margini. Plegaria Muda (preghiera muta) è una orazione per tutte le persone che non hanno voce per parlare della propria esistenza misera e che il mondo tende a dimenticare, è per chi non esiste.
 
Di fronte ad un'opera del genere osereste chiedere se questa è arte? e che sapreste farla anche voi? 
Non è meglio restare in assoluto silenzio?

Plegaria Muda è una poesia, tra le più intense e struggenti della storia dell'arte.
Un tavolo ha i piedi appoggiati al pavimento, l'altro è capovolto con le gambe in aria. Uno strato di terra divide la morte, che è sotto, dalla vita, che però è completamente sconvolta, sottosopra, per il legame venuto a mancare. "L'assenza di essere umani ne evoca la presenza", spiega la Salcedo. Continua: "I tavoli hanno le proporzioni di una bara, questo è un cimitero". "Sulla superficie dei tavoli ribaltati però cresce dell'erba, a significare che la vita torna ovunque".
Poesia eterna, arte contemporanea e perenne. Qui  si va al di la del tempo, i riferimenti saltano, il pensiero è elevatissimo.
Plegaria muda trasforma lo spazio che la circonda in luogo sacro, luogo del silenzio e del raccoglimento.
Qui nulla è dato al caso, tutto è meditato e costruito con accortezza. Shhhh! Silenzio! Si può ascoltare il silenzio e imparare da esso. Ha una qualità e una dimensione tutta sua.  Ci facciamo seri. Questa è la voce di un isolato: ma questa voce poi rappresenta l'umanità intera

Il silenzio è la forma più alta della parola; comprenderlo è la forma più alta dell’essere umano.

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Non vi è nulla di più astratto del reale!

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