La solitudine è bella, ma abbiamo bisogno
di qualcuno a cui dire che la solitudine è bella.
Friedrich
Nietzsche
ha scritto che l'arte nasce dalla fusione di due elementi: un grande realismo e
una grande irrealtà. A possederle entrambe, e nella forma più elevata, è Edward
Hopper.
Nella
sua pittura è presente l'America contemporanea e un poco fuori moda, dove risaltano
vecchi binari della ferrovia, fari sulla costa rocciosa, vecchie case coloniche
dipinte di bianco e con il tetto a spiovente, scorci di strade deserte.
Le
ambientazioni che egli sceglie sono ordinarie, familiari, semplici: un
distributore di benzina, una tavola calda, l'interno di un vecchio cinema,
uffici, una stanza di un appartamento o di un albergo; poche figure, di solito
assorte o isolate.
Eppure
nonostante l'evidente realismo, le sue immagini sono, senza dubbio alcuno, irreali. Egli, difatti, immerge la
città, un angolo di strada o la porzione di un interno in una luce pulita, rigorosa;
le sue vedute, i suoi scorci, in suoi interni sono disabitati; nelle strade
manca il movimento di persone, il frastuono del lavoro e delle funzioni. Manca
il rumore, non c'è alcun suono e tutto è fermo. Pausa, silenzio, sospensione, nessuno
recita; e quando presenti, gli attori non hanno copioni da recitare. L'irrealtà
prevale sulla realtà e a farla da padrona è la solitudine. Egli dipinge la solitudine
di luoghi solitari, o meglio, la
solitudine di luoghi che dovrebbero essere affollati e gremiti di persone.
Le città hanno i negozi chiusi e le case con le tendine abbassate, i
distributori di benzina sono deserti, le caffetterie sono senza clienti e i
cinema senza pubblico. E poi donne sole sedute ad aspettare chissà chi o chissà
cosa, interni con viaggiatori malinconici, che forse rinviano l'ennesimo
viaggio, ragazze assorte con lo sguardo perso.
Immagini di inquietante fascino,
di grande impatto emotivo, le sue sono opere potenti, emblematiche, allusive e
inquietanti della condizione umana contemporanea. Le immagini solitarie e
silenziose, cariche di suggestioni metafisiche, le atmosfere inspiegabili e
assorte fanno un silenzio assordante e si
percepisce la risonanza dell'incomunicabilità. La sua pittura è una “poesia silenziosa”.
Eppure non è la solitudine la spiegazione della sua pittura, e lo stesso Hopper si lamenta: ”In riferimento alla mia
opera si parla troppo di solitudine”. In ogni caso, egli non è interessato alla
psicologia, ed infatti non dipinge i volti in maniera espressiva, anzi ritrae
le persone da lontano e non da spunti, o dettagli su ciò che accade. C'è una
atmosfera vagamente metafisica nei suoi quadri, che allontana le sue immagini
dal presente.
Le strade vuote, le camere di un motel, ricorrenti nella sua
opera simboleggiano una condizione di distacco e alienazione.
Egli
costringe lo spettatore ad interrogarsi sul significato della vita, aiutato da
un silenzio evocativo. È un silenzio
solenne, che impressiona, quasi insopportabile, che racchiude un senso di
mistero, gravido di .....aspettative.
Hopper ha
inserito nella sua pittura un’ampia e aperta riflessione filosofica sulla crisi
dell’uomo contemporaneo. Egli rappresenta la crisi della vita sociale e
l’impossibilità di una vita di relazione fondata sulla comunicazione
interpersonale.
Tutta l’infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene da soli, in una camera.
.....To be continued
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