La memoria è un balcone
da cui osservi in modo critico
il mondo.
Mi ha sempre affascinato chi guarda il mondo
alla rovescia, da un punto di vista diverso. Si potrebbe chiamarla 'attitudine all'inversione'. Se cerchi di andare in alto, vai a fondo; se invece cerchi di andare nel profondità e di immergerti, rimani in superficie o inizi a lievitare. Se cerchi di trattenerti, esplodi.
Manet, con Il Balcone ribalta il punto di vista, mostrando le persone
che osservano e non l’evento che esse stanno osservando.
In questa indagine dunque l’attenzione è concentrata su coloro che
guardano e il senso del quadro non sta
nell’immagine che ci mostra, ma "nel
fatto che qualcuno lo osserva". Il lavoro in questione è la “ricostruzione
nello spazio e nel tempo del punto occupato dal pittore, osservatore degli osservatori
presenti in questo quadro”: svelando le ovvie dinamiche della pittura, Manet ha
sovrapposto la sua figura con quella di ogni osservatore che guarderà l’opera.
Nel 1868 ad “osservare chi sta guardano” era Manet, oggi siamo noi.
Manet dipinge due donne vestite di bianco, una in piedi e l’altra
seduta, con dietro un uomo un po’ distaccato e autorevole. Alle loro spalle s’intravede
un ragazzo che sta passando per caso, in una stanza semibuia e borghesemente
decorata.
Insomma accade qualcosa in strada (è l'occasione di una sfilata o di una
manifestazione pubblica) e si affacciano persone benestanti che guardano e che fanno
mostra della loro eleganza e della loro bellezza, della loro posizione sociale. Manet disinteresandosi di ciò che accade in strada, coglie un attimo insignificante della vita di questi uomini, un’immagine
casuale di un occhio che vaga e si ferma
per un momento, la dove non sta capitando nulla. Qualcosa ha attratto il suo
sguardo e lo distrae da ciò che sta accadendo di importante, da un altrove che solo
i personaggi raffigurati vedono. Tale spostamento di visuale fa diventare
spettacolo gli spettatori. I personaggi quindi, da semplici spettatori
diventano attori: e noi siamo il pubblico.
Se proviamo a leggere “Il balcone”
come un racconto o, piuttosto un
episodio collaterale di un romanzo, esso non è che una digressione che distrae il narratore
dalla storia principale (lo porta su di un itinerario completamente differente da quello
che la aveva ispirata), una divagazione pura e semplice. Nel romanzo è
possibile divagare, lasciare un po’ la strada principale per imboccare sentieri
o vie laterali.
L’impostazione che viene data a un racconto determina anche l’atteggiamento
del lettore: inesorabilmente spinto in avanti verso la conclusione (in caso di
un racconto breve) o legato da un rapporto affettivo (in caso di un romanzo che
amiamo), in cui compare un aspetto della lettura che rimanda la
conclusione.
Nella sua
divagazione Manet ha accumulato dettagli e creato mondi che sono familiari per gli
osservatori dell’epoca e per noi oggi. Manet come tutti i pittori/romanzieri ha
prodotto descrizioni molto più prolisse di quanto non usino i pittori/scrittori
contemporanei.
Leggere un quadro, e quindi un romanzo, è come entrare in un
altro mondo, da cui uscirne è difficile.
Lunatici o anticonformisti, stravaganti e coraggiosi, egocentrici e geniali attraverso le storie dei protagonisti dei romanzi moltiplichiamo la nostra vita, che da unica diviene molteplice.
Afferma Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito … perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.
Alla fine di un libro conosciamo quasi tutto dei personaggi, e potremmo tramandare in maniera convincente e con informazioni altrettante precise la loro vita quotidiana. Abbiamo fatto un tratto di strada insieme. Conosciamo i loro pensieri più profondi, la loro visione della vita, le città e le strade in cui passeggiano, i sentieri di campagna che percorrono, i caffè che frequentano. Attraverso la parola, il racconto, l'arte, conosciamo meglio la storia dell'uomo.
Le persone ritratte e dipinte dalla letteratura finiamo per amarle.
Lunatici o anticonformisti, stravaganti e coraggiosi, egocentrici e geniali attraverso le storie dei protagonisti dei romanzi moltiplichiamo la nostra vita, che da unica diviene molteplice.
Afferma Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito … perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.
Alla fine di un libro conosciamo quasi tutto dei personaggi, e potremmo tramandare in maniera convincente e con informazioni altrettante precise la loro vita quotidiana. Abbiamo fatto un tratto di strada insieme. Conosciamo i loro pensieri più profondi, la loro visione della vita, le città e le strade in cui passeggiano, i sentieri di campagna che percorrono, i caffè che frequentano. Attraverso la parola, il racconto, l'arte, conosciamo meglio la storia dell'uomo.
Le persone ritratte e dipinte dalla letteratura finiamo per amarle.
Ma………………… all’ultimo, alla fine tutto, TUTTI comunque .............. SCOMPAIONO!
To be continued.........
Nessun commento:
Posta un commento